BARBARA CARNEVALI, La rédemption du désir. Proust utopiste
Résumé : Le désir est une des clés d’interprétation et d’unification de l’œuvre de Proust les plus importantes. Structurant l’existence humaine dans sa tension téléologique et lui conférant la forme d’une « recherche », le désir coïncide, dans la perspective proustienne, avec l’essence même de la vie. À partir de ce constat, je proposerai une interprétation globale du thème du désir chez Proust par le biais d’une analyse philosophique, en m’inspirant notamment de la phénoménologie de la « conscience anticipante » telle que définie par Ernst Bloch dans sa philosophie de l’espérance et de la tradition qui, de Platon à Marcuse en passant par Freud, a pensé le désir comme Éros. Contre la célèbre herméneutique de René Girard centrée sur la notion de « désir mimétique » et modelée sur les passions humaines – trop humaines – de l’envie et de la jalousie, ma lecture cherchera à réhabiliter la composante imaginative, transcendante et utopique du désir chez Proust, pour en réaffirmer l’héritage toujours vivant.
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LUC FRAISSE, Les intuitions créatrices des biographes de Proust
Résumé : En principe, le biographe de Proust, comme tout biographe, travaille à établir les faits et à les ranger dans l’ordre chronologique, afin de faire apercevoir l’évolution de l’écrivain dans le concret. Si la biographie d’un tel homme se justifie par le fait qu’il est écrivain, le récit pourrait à la limite se passer de son œuvre. Pourtant, cette enquête fouillée et pour ainsi dire matérielle amène le biographe à formuler des intuitions créatrices sur la motivation et les démarches à la source de l’œuvre. Comment surgissent ces intuitions ? Parviennent-elles à renseigner sur l’esthétique de l’écrivain, sur la structure de son œuvre ?
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MIGUEL DE BEISTEGUI, D’un désir, d’une vérité l’autre
Résumé : L’articulation du désir et de la vérité n’a, en philosophie, rien de nouveau ; et c’est une évidence que de le dire, tant le mot de philosophie lui-même l’évoque immédiatement, et tant son destin s’y est vu associé. À la recherche du temps perdu vient chasser sur les terres de la philosophie, et fait de cette articulation un cheval de bataille. Mais elle défait aussi au passage son architecture dominante, c’est-à-dire platonicienne, tout en donnant par endroits le sentiment de la reproduire. Si le grand roman proustien semble dans un premier temps s’inscrire dans une morphologie classique du désir et de la vérité, il marque aussi un point d’inflexion ou de retournement, qui ouvre à la philosophie même de nouvelles perspectives. L’écriture du désir s’accomplit dans un désir d’écriture, et la construction d’un style, où le manque et la simple « satisfaction » cèdent la place à l’excès et « l’allégresse ». La question que je pose est donc celle-ci : que fait la Recherche à la philosophie ? Et la réponse que j’apporte est celle-ci : un enfant dans le dos.
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ANNAMARIA CONTINI, Tra parola e immagine: la teoria proustiana della metafora conoscitiva
Sintesi: Anticipando le tesi odierne che scorgono nella metafora uno strumento del pensiero oltre che del linguaggio, Proust non considera la metafora come il semplice sostituto di un termine letterale, come e un artificio stilistico volto ad abbellire il discorso, ma le assegna una funzione conoscitiva. Per Proust, la metafora ci permette di scorgere nuovi rapporti tra le cose, di far interagire non solo due termini ma anche due regni concettuali. Inoltre, facendoci conoscere una cosa attraverso un’altra, la metafora implica una nuova visione in grado di afferrare le continue trasformazioni del mondo sensibile. Proprio il tema della visione è al centro della celebre descrizione di un quadro immaginario, “Le Port de Carquethuit” di Elstir, in All’ombra delle fanciulle in fiore. Nel presente contributo, vedremo la complessa tensione tra parole e immagine che attraversa tale descrizione, durante la quale Proust enuncia la propria concezione della metafora come metamorfosi delle cose rappresentate. Utilizzando in maniera originale la retorica dell’ekphrasis, Proust non si limita a tradurre in termini letterari un’opera d’arte pittorica, ma istituisce una ricorsività tra verbale e visivo, tra metafora della pittura e pittura della metafora dalla quale emerge il carattere aperto e sempre in fieri della verità metaforica, in quanto verità inseparabile dall’alterità, dalla contraddizione e dall’ibridazione fra elementi eterogenei. In tal modo, Proust anticipa anche l’importante riflessione condotta oggi sia sulle metafore visive che sul carattere icastico delle stesse metafore verbali.
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MAURIZIO FERRARIS, Imparare a vivere
Sintesi: 14 anni ed era il 1970, mi sono impegnato, con spirito agonistico, nella lettura integrale della Recherche. Torino a quei tempi era una città industriale in cui poteva capitare di vedere, in certe domeniche di novembre, le famiglie coi passeggini, il marito con la radiolina all’orecchio che ascolta la partita. Scene che motivano la risposta di Sileno a Re Mida: “Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. In compenso, a quei tempi la scuola finiva agli inizi di giugno, e ricominciava ai primi di ottobre. Quattro mesi infiniti si stendevano di fronte a me e a tutti gli altri scolari d’Italia. Ho calcolato che al ritmo di 100 pagine al giorno avrei avuto il tempo, e in effetti l’ho avuto. Tra il 1970 e il 1980, e specialmente nella prima parte del decennio, l’ho riletta sette volte, in traduzione e poi in originale. Non saprei dire il perché di questa ostinazione e non è interessante se non dal punto di vista psichiatrico. A Proust era dedicato il primo saggio che ho pubblicato in vita mia, nel 1978, cui ne sono seguiti altri quattro o cinque, poi raccolti in un libro uscito nel 1987. E da allora non ho riaperto la Recherche. Alla cessazione delle mie letture avevo 31 anni, oggi ne ho 66, il che significa che per oltre metà della mia vita non ho letto la Recherche, mentre per oltre metà della prima metà della mia vita ho fatto poco più che leggere la Recherche. Queste numerologie sono interessanti per l’esperimento, non mentale ma reale, che questa circostanza mi permette. Ho avuto modo di mettere alla prova l’assunto generale di Proust, secondo cui un libro è un paio di occhiali fatto per leggere in noi stessi e per dire che sì, è proprio così che funziona la vita.
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ILARIA GASPARI, Ingeborg Bachmann lettrice di Proust: incursioni tra il dicibile e l’indicibile
Sintesi: Il 13 maggio 1958 l’emittente radiofonica del Bayerischer Rundfunk manda in onda una trasmissione che è in realtà un piccolo saggio perfetto sul mondo racchiuso nei sette volumi della Recherche. Si intitola Die Welt Marcel Prousts – Einblicke in ein Pandämonium (Il mondo di Marcel Proust – Sguardi in un pandemonio) e la sua autrice è Ingeborg Bachmann. Bachmann, che nella poesia Beatrixgasse racconta la sua lettura vorace, nevrotica, appassionata di Proust, al ritmo di trenta sigarette francesi al giorno (Ho letto Proust a Monaco fino all’alba, / fino a che gli operai che rifacevano il tetto / non irrompevano nella mansarda) nel saggio radiofonico offre un’analisi sottile e affilata dell’opera, individuando una chiave di lettura nella vocazione di Proust a farsi “creatore di esseri umani”. Partendo dal testo radiofonico della poetessa-filosofa austriaca, il mio intervento si propone di attraversare i temi-cardine della Recherche che Bachmann illumina, tentando al contempo di indagare echi e riverberi fra due imprese autobiografiche forse solo apparentemente opposte: la cattedrale proustiana, monumento alla ricerca dei palpiti della vita che resta anche quando è passata, e l’impresa incompiuta della trilogia delle Todesarten (Maniere di morire) di Bachmann, che moltiplica l’io lirico in una piccola folla di opposti.
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MARCO PIAZZA, L’eredità di Proust tra ‘moi social’ e ‘moi créateur’
Sintesi: L’eredità di Proust è diversa da quella di Boccaccio, di Beethoven, di Van Gogh o di Akira Kurosawa? Probabilmente sì. Anzitutto l’eredità di Boccaccio è tutta o quasi nel Decameron, quella di Beethoven nelle sue composizioni musicali, quella di Van Gogh nelle sue tele, quella di Kurosawa nelle sue pellicole. Inoltre, nessuno di loro si è preoccupato di teorizzare una critica all’approccio biografico rispettivamente nella critica letteraria, musicale, pittorica o filmica, almeno chi io sappia. Per Proust è diverso. Nel mio intervento, infatti, cercherò di mostrare come quella di Proust sia un’eredità paradossale: nel suo romanzo Proust ha teorizzato l’esigenza del superamento del moi social affinché possa darsi un moi créateur, il quale si serve delle esperienze di una vita per estrarre leggi e tutt’al più catturare essenze, intese come verità generali, e tuttavia, già all’indomani della sua morte e così fino ad oggi in un crescendo parossistico, schiere e schiere di lettori e di interpreti hanno profuso ogni sforzo per risalire dal moi créateur al moi social, dall’opera e dai suoi contenuti all’autore e alle sue vicende biografiche, tradendone il messaggio centrale e non curandosi degli ammonimenti che vi sono contenuti. Si profila così una doppia eredità conflittuale: quella della Recherche, che ci spinge a leggere dentro di noi con gli strumenti che Proust ci fornisce nel suo romanzo, e quella di Marcel Proust, la quale, malgré lui, alimenta il culto del proustismo, fatto di pellegrinaggi, di vojeurismi, di feticismi, di etnicizzazioni, di strumentalizzazioni, talune esilaranti talaltre grottesche. Fino al punto che la seconda eredità rischia seriamente di fagocitare la prima: ci dimentichiamo del romanzo e andiamo a caccia di Albertine, ci dimentichiamo del narratore e mettiamo sassolini su una tomba apocrifa, ci dimentichiamo di una tazza di tè e facciamo di un biscotto un feticcio, ci dimentichiamo dei due côtés e andiamo in pellegrinaggio a Combray (che è Illiers o viceversa), ci dimentichiamo della filosofia del romanzo e sminuzziamo il testo per trovare l’ -ismo giusto per il suo autore! La vera eredità di Proust d’altro canto non sta nella mera letteralità del romanzo: Proust non ci chiede di credere che Albertine sia solo ed esclusivamente una ragazza, che la madeleine sia davvero ed esclusivamente un biscotto, che Combray sia un certo villaggio di campagna, che le essenze siano le verità prodotte dalla sola memoria involontaria e che il narratore sia ebreo perché in un passo si tradirebbe come tale nel romanzo. Che cosa significa allora un romanzo che chiede di non essere preso alla lettera e in cui però sono lasciate delle tracce autobiografiche come quella che permette di collegare quel narratore allo stesso Proust, visto che una volta assume il nome di Marcel? L’eredità del romanzo sta nella valenza metaforica che ognuno di questi elementi assume in funzione di una ben precisa ipotesi filosofica in esso tracciata.
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GÉRARD BENSUSSAN, L’involontaire proustien, de Schelling à Merleau-Ponty
Résumé : L’involontaire proustien ne gouverne pas la seule mémoire, mais détermine les affects, les conduites et les pensées des personnages de la Recherche et sa trame narrative, les événements qui la tissent. Ce thème, l’involontaire, est pleinement philosophique – au sens où d’une part il retrouve d’antiques interrogations et où, d’autre part, il croise d’éminentes pensées du XXème siècle en particulier, Freud bien sûr, mais aussi Bergson, Valéry, Sartre, Levinas. Dans l’histoire de la philosophie, le partage qui ordonne les thématisations de l’involontaire discerne entre philosophies réflexives et pensées du pré-réflexif, au sens le plus général. En amont de la Recherche, Schelling annonce de façon frappante la prégnance et l’amplitude de l’involontaire dans l’histoire des sujets -non pas le Schelling de la philosophie transcendantale évoqué par Anne Henry dans ses analyses, mais le Schelling penseur du temps, de la mémoire et surtout de ce qu’il a nommé l’unvordenklich, l’immémorial ou l’imprépensable. En aval, la phénoménologie, en tant qu’elle fait justement droit au pré-réflexif, en particulier Merleau-Ponty qui fit de Proust le « modèle » de sa phénoménologie. L’établissement de cette séquence Schelling/Proust/Merleau-Ponty (qui est loin d’être exclusive ou exhaustive) permet de contester les analyses de la Recherche commandées par la thèse du solipsisme du narrateur ou du platonisme de l’œuvre. L’involontaire fournit les instruments d’une tout autre lecture, celle d’un roman animé et orienté par un indéniable réalisme de l’extériorité.
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SOFIA SANDRESCHI DE ROBERTIS, Guattari e les ritournelles du temps perdu: note per ripensare l’associazione di idee
Sintesi: I riferimenti all’associazione di idee nella Recherche sono innumerevoli. La potenza del fenomeno associativo si manifesta nelle occasioni più disparate e intreccia fra loro impressioni, volti, ricordi e persino opere d’arte. Da un punto di vista narrativo e teorico, la sua importanza nella costruzione della Recherche parrebbe indubbia. Eppure troppo spesso l’associazionismo proustiano è stato dimenticato, se non criticato, in nome di una presunta obsolescenza filosofica del tema. Félix Guattari, nel 1979, scrive un saggio interamente dedicato a Proust, Les ritournelles du temps perdu, dove concentra la propria attenzione su un oggetto preciso della Recherche: la «petite phrase». In essa va concretizzandosi il concetto di ritournelle a cui fa da controcanto quella che Guattari chiama la composante de visagéïté: tutto sembra fondarsi su una prima, e quasi originaria, associazione fra musica e volto – entrambi da intendersi in senso ampio. A partire dalla profondità delle analisi guattariane, l’associazione di idee si lascia scoprire nel pieno della propria produttività e potenza creatrice. Proust, infatti, ne fa un uso non soltanto appropriato, ma anche del tutto originale rispetto alla tradizione filosofica a lui precedente. Nella Recherche l’associazione non implica né il costituirsi di una catena lineare, né la casualità di nessi liberamente stabiliti. In nessun caso essa consiste in una mera riproposizione del “già visto”, o meglio, del “già sentito”. Al contrario, l’associazione di idee proustiana rivela la funzione produttiva del cosiddetto automatismo mentale, in linea con l’idea per cui soltanto quanto passa nel dominio dell’incosciente può essere realmente creatore.
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STEFANO POGGI, La chiave sotto lo zerbino. Un’ipotesi sulla scrittura della Recherche
Sintesi: Il narratore-eroe della Recherche – che viene trovato esanime, in fondo ad una scalinata, nel cortile dei Guermantes — è colpito da un attacco cerebrale, che lo rende afasico. È incapace di comunicare, mentre invece continua a potere pensare – e ricordare –, prima che sopravvenga quella che è la “vera morte”, il definitivo dissolversi dell’individuo: la “morte del cervello”. Il senso di tale finzione narrativa è chiarissimo, e tocca direttamente – e nello stesso momento – la struttura teorica e il nucleo poetico-drammatico del romanzo. La successione degli eventi narrati nel romanzo si conclude nel momento in cui il narratore-eroe, nel corso della matinée presso i Guermantes, matura la decisione di iniziare a scrivere e poi, vittima dell’attacco cerebrale, si trova come ad essere rinchiuso in sé stesso, posto dinanzi alla urgenza di procedere allo sfruttamento del “ricco bacino minerario” del suo cervello. Sfruttamento frenetico, il cui scopo è arrivare a mettere “al sicuro in un libro” tutto quello che è accaduto nel tempo ed è custodito da una memoria destinata comunque a cancellarsi con il distruggersi del corpo. Sfruttamento percorso dall’angoscia della fine imminente e che tenta di realizzarsi con la trasformazione in “equivalenti di intelligenza” di tutte le varie impressioni fornite dalla memoria involontaria, nell’arco di tempo che intercorre tra l’ictus e la fine della vita del narratore, arco di tempo che quest’ultimo impiega sequestrandosi al mondo e dedicandosi in pieno al lavoro di scrittura della Recherche.
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LUDOVICO MONACI, Soixante ans de Recherche au cinéma
Résumé : Le centenaire de la mort de Proust coïncide avec le soixantième anniversaire de l’acquisition des droits de la Recherche par la productrice Nicole Stéphane. Cet exposé vise à donner un aperçu de l’histoire cinématographique de l’œuvre de Proust. À partir des nombreux projets échoués, on se concentrera notamment sur les deux principales adaptations filmiques (d’une part) de la Recherche: Un amour de Swann par Volker Schlöndorff (1984) et Le Temps retrouvé par Raúl Ruiz (1999). En parallèle, une enquête sur les « hommages » rendus à Marcel Proust par le cinéma débouchera sur l’analyse de Guermantes (2021) par Christophe Honoré. L’objectif est de mettre en relief les stratégies adoptées par les cinéastes pour transposer une œuvre littéraire qui, bien loin de se présenter comme un simple « défilé cinématographique des choses » (TR, IV, p. 461), lance un véritable défi transmédial au septième art.
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ROBERTA CAPOTORTI, Proust et l’héritage neuroscientifique : l’étincelle motrice de la Recherche
Résumé : Tout au long de la Recherche, et en particulier dans l’esthétique du Temps retrouvé, Proust réfléchit au sens de son œuvre, en l’identifiant dans la capacité de l’écriture de solliciter une connaissance nouvelle dans l’esprit du lecteur, grâce à une variation imaginative par rapport à une représentation conventionnelle du monde. Effets de friction cognitive que le langage poétique engendre, instaurant avec le lecteur une forme de coopération affectivement chargée par le biais d’une implication non seulement conceptuelle ou imaginative, mais aussi cinesthésique : c’est ainsi que la rencontre avec la parole littéraire peut continuer à réverbérer longtemps dans le corps et dans l’esprit du lecteur, sous forme d’implications perceptives et sensorimotrices. On se propose d’éclaircir cet aspect lié à la sensation du mouvement dans la Recherche, en montrant que l’héritage proustien dans le champ des études neuroscientifiques appliqués à la littérature ne concerne pas seulement le fonctionnement de la mémoire, mais que son écriture génère des simulations perceptives qui entrecroisent les registres sensorimoteurs et introspectifs, en conduisant le lecteur à assumer une nouvelle posture qui l’implique perceptivement dans l’interprétation du texte. Si le véritable enjeu de l’œuvre proustienne réside dans la nature métaphorique d’une écriture qui déplace sans cesse l’attente du lecteur d’une simple représentation de la réalité vers une récréation du monde, on voudrait montrer que c’est justement par un processus d’incarnation de la phrase dans sa perception corporelle et kinésique que ce type de récréation cognitive, introspective et sensorielle devient possible.
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ANTOINE COMPAGNON, Relire Proust en 2022
Résumé : < Il sera disponible sous peu >